L’annuncio dei 6.000 cassaintegrati purtroppo conferma ciò che Confartigianato aveva previsto da
tempo: la crisi dell’ex Ilva, nella sua gravità, si fa ogni giorno più chiara.
Comunque vada a finire, anche con la dovuta e imprescindibile decarbonizzazione, con buona pace
dei nostalgici degli altoforni, è ormai evidente che la fabbrica non potrà mantenere la stessa forza
lavoro attuale. Eppure, la comunità continua ad aspettare. Inerme, quasi impassibile, convinta che
anche questa volta qualcun altro risolverà la situazione.
Un atteggiamento che conosciamo bene: ci si sveglia solo quando il danno è ormai compiuto.
È il solito copione, quello del “tarantino che non sapeva, non vedeva, non parlava”.
Come Confartigianato siamo profondamente preoccupati, perché la situazione appare oggi ancora
più drammatica di quanto si potesse immaginare. La cosa peggiore è che questo territorio sembra
aver perso persino la capacità di reagire, di parlare, di proporre.
Eppure l’ex Ilva è parte della nostra storia, della nostra vita: è entrata nel nostro stesso sangue.
Ma continuare ad aspettare non è più possibile. Non possiamo permetterci di ripetere ancora una
volta gli stessi errori. Dobbiamo essere previdenti, dobbiamo prepararci al peggio. E il peggio,
purtroppo, è già scritto: le migliaia di esuberi che questa lunga e triste vicenda lascerà dietro di sé.
Nonostante gli sforzi del Governo, il tempo trascorso e l’opera di persuasione a livello internazionale
per ricercare un investitore disposto a prendere ciò che fu la più grande acciaieria d’Europa,
qualunque sarà l’esito della vendita, per come stanno andando le cose, sarà evidentemente una
soluzione al ribasso per il territorio.
Nessuno può più credere alle favole: decarbonizzazione e piena occupazione insieme non saranno
possibili.
La nuova acciaieria sarà comunque ridimensionata, da ogni punto di vista. Facciamocene una
ragione: lo dicono i fatti, lo conferma la tecnologia.
Il sacrificio occupazionale sarà, come già oggi, molto grande. E Taranto sarà ancora una volta il
campo di battaglia della siderurgia italiana. Ma questa volta la storia sarà diversa: quando i riflettori
si spegneranno, resteranno qui, da noi, le migliaia di esuberi, i disoccupati, la sofferenza.
È quindi tempo di comportarsi da persone mature, di guardare la realtà in faccia e di agire con
concretezza. Occorre creare subito le condizioni per il ricollocamento di migliaia di lavoratori, molti
dei quali, dopo anni di cassa integrazione, hanno perso la dimestichezza fisica e mentale del lavoro.
Più passa il tempo, più sarà difficile riqualificarli, reinserirli, restituire loro la dignità di un mestiere.
Ne parliamo con profondo rispetto per chi sta vivendo questa condizione, ma anche con chiarezza
e onestà: basta far finta di nulla.
Gli artigiani e le piccole imprese del territorio hanno bisogno come il pane di manodopera
qualificata. Eppure, l’offerta e la domanda continuano a non incontrarsi. Se non iniziamo ad agire
ora, rischiamo di perdere un’occasione storica per ricostruire il futuro di questa città. Allora si
mettano subito in campo tutti strumenti regionali, nazionali, comunitari, si pretenda almeno questo.
Non sprechiamo le risorse per la ricollocazione occupazionale con corsi del tutto inutili. Il
ricollocamento deve avvenire sul campo, presso i gli opifici, le officine, gli artigiani. In questo modo
si risolvono ben 2 grossi problemi, ci vuole molto a capirlo?
Confartigianato Taranto rinnova con forza il suo appello: non è più tempo di attese, ma di azioni
concrete. Abbiamo già perso troppi anni, sicuramente gli ultimi quindici, aspettando non si sa chi e
cosa, per poi ritrovarci peggio di prima.
Solo il lavoro vero, quello che nasce dall’impresa, dalla competenza e dalla fatica quotidiana, può
restituire speranza e dignità a Taranto e ai lavoratori del siderurgico.